IANUA MUNDI IMAGINALIS Santa Maria a Mare di Giulianova
Di Maria Concetta Nicolai
Secondo recenti studi Santa Maria a Mare o dell'Annunziata,
oggi assorbita entro l'agglomerato urbano e quasi soffocata
dal ponte ferroviario che le corre davanti, fu edificata nella
solitària distesa del litorale sottostante il Castello di San
Flaviano prima del 1000, affinchè costituisse un punto di
riferimento di pellegrini e viaggiatori che da qui incominciavano
a costeggiare il mare alla ricerca di imbarchi meridionali.
Ricostruita o per lo meno modificata nel dodicesimo secolo
divenne un centro di smistamento delle truppe crociate, in specie
di quelle provenienti dalla Marca spoletina. Di questa funzione
si hanno testimonianze frammentarie e trasversali, come quella
costituita dal Necrologio della Cattedrale di Teramo che ricorda
che a San Giovanni d'Acri morirono parecchi militi di Castel San
Flaviano, o da una leggenda locale di tradizione orale che riporta
che nelle colonne interne del tempio sono sepolti i resti di mitici
paladini. Certo è che quell'ospizio, sottostante al castello ed in
mezzo alla spiaggia, dovette avere un ruolo non secondario anche
dopo la disfatta dei gesorolimitani, se non altro per la costante
presenza dei monaci e per lo scambio di motivazioni religiose tra
questo centro e quelli dell'intemo, come San Salvatore di Morrodoro
e Santa Maria di Propezzano. Sorta come grancia benedettina, in seguito
rovinata e decaduta, fu ricondotta alle forme che per alcuni aspetti
ancora oggi conserva, dal restauro voluto tra il 1160 ed 1170, da
Guido, il vescovo ricostruttore di Teramo, che, tornato dalla Sicilia
dove è probabile che avesse ottenuto da Guglielmo I la signoria
feudale della città, volle con questo atto ricompensare Castel S.
Flaviano che lo aveva ospitato e protetto durante i tristi giorni
della distruzione. L'edificio sacro dovette assurgere ad una certa
importanza, tanto che un secolo dopo si continuava ancora ad
abbellirlo fino all'ornamento della porta principale compiuta,
probabilmente, durante i primi anni dell'episcopato di Rinaldo
Acquaviva (1300 - 1314) da Raimondo del Poggio, il maestro atriano
che si era distinto nella costruzione
della Cattedrale, soprattutto per i portali laterali datati
rispettivamente 1288 e 1303. Lo scultore e architetto nativo,
forse, di Poggio della Cona, si distingue dalle maestranze coeve,
oltre che per indubbie capacità costruttive ed arti-stiche, anche
per una certa propensione al valore simbolico e criptico della
decorazione, tanto che tutte le sue opere stimolano una lettura
interpretativa e metaforica dei particolari. La singolarità delle
sculture dell'ingresso, ben visibili sulla spoglia facciata in
laterizio, ha suscitato la curiosità di molti studiosi che si sono
impegnati nel tentativo di sciogliere i nodi del simbolismo delle
figure che vi sono rappresentate. A cominciare da Angelo Antonio
Cosimo De Bartolomei, egregio e benemerito autore delle storiche
discipline e tenerissimo delle patrie memorie che nel 1839 fissò
l'attenzione principalmente sui diciotto quadretti del terzo
archivolto. Lo studioso, ricercando per il territorio aprutino
le tracce di Siculi e Liburni, si ingegna a dimostrare come i
bassorilievi che ornano la porta altro non siano che le ultime
tracce di quei mitici popoli che, a detta di Livio, furono gentes
farae et magna ex parte latrociniis maritimis infames. Ne meno
infondato è il giudizio di Niccola Palma, convinto che l'artefice
del portale costruito ne' tempi bassi con molta industria consegnò
e seppe unire in questa sua opera lavori antichi di diverse epoche
e di diverse perfezioni, scelti, senza dubbio, tra gli avanzi di
Castro. Tutte le diciotto sculture, per il canonico di Campii,
sono recuperi di templi: tré esprimono cose oscenissime da far
giudicare che siano appartenute alle cornici di un tempio di venere.
Un Sileno ed una donna che porta un'idra sulle spalle, scolpiti in
altri due, fanno congetturare altro fabbricato in onore di Bacco.
Un interesse marginale fu quello espresso da Cantelmo Cocchia nel
Policroma pittoresco e da Gabriello Cherubini, convinti anch'essi
che i bassorilievi siano avanzi di edifici pagani. Migliore attenzione, viceversa, merita Vincenzo Bindi che
chiarisce, una volta per tutte che le decorazioni del portale non
sono accozzaglie di pezzi tolti da templi e per dileguare ogni benché
minimo dubbio in torno al carattere di queste scoltore ed al tempo
nel quale furono eseguite riporta il giudizio di uno dei più celebri
archeologi cristiani di quei tempi Giovan Battista De Rossi, il quale,
viste in fotografia le sculture, afferma che esse sono senza dubbio
del periodo dell'arte meridionale italiana che precedette il Rinascimento.
Altro merito di Bindi è quello di aver centrato la chiave interpretativa
del simbolismo esposto, liberando il campo dai preconcetti che, fino
ad allora, avevano relegato la tematica tra le bizzarrie gratuite e
ricercandone l'origine nella cultura benedettina. Qualche anno dopo
Ignazio Gavini attribuirà, senza esitazione, l'opera alla scuola
atriana, facendo leva sulla presenza di due opere in pietra da taglio
di diversa importanza, ma della stessa maniera, che sono un capitello
dell'aula ed il portale della facciata, ed affermerà che l'autore è
Raimondo del Poggio che qui, per ragioni di spazio non potè tracciare
I opera sua in proporzioni slanciate, e perciò riprodusse il penale
atriano del 1302, con un insieme ridotto informe speciali. Lo studioso
nota le consonanze del portale con quello pennese di Colleromano,
particolari, del resto, già sottolineati da Bindi, che, però, non si
era spinto a ritenerli lavoro delle medesime maestranze, e sempre in
tema di similarietà osserva che a Giulianova \a lunetta, ridotta ad
un segmento di cérchio, e quindi insufficiente a sviluppare soggetti
pittorici fu occupata, come a Colleromano, da una statua rappresentante
la Vergine in cattedra che
affettuosamente stringe a sé il Figlio. Giovanni Pansa, con la sottigliezza
comparativa, fìssa l'attenzione soprattutto su tré delle diciotto scoltore
che coronano il fronte della chiesa e precisamente alla figura d'uomo con
le parti deretane scoperte in cui sporgono i genitali che gli addita con
la mano, al talamo insidiato in cui si vedono gli adulteri nell'atto di
baciarsi dietro una cortina ed il marito offeso che brandisce un pugnale
per ucciderli, alla figura di donna ignuda con le gambe divaricate che
ella sostiene con le mani e sotto la maschera con atteggiamento beffardo.
Nella formella centrale Pansa individua l'immagine della vecchia Bando,
modellata sul tipo convenzionale greco, nell'atteggiamento cioè osceno e
grottesco che ha riscontro negli amuleti. In tempi più recenti si sono
occupati di Santa Maria a Mare Mario Moretti, Giammario Sgattoni, Ezio
Mattiocco e Pasquale Rasicci, tutti però volti più al valore artistico,
del resto rilevante, che alle proporzioni ermetiche e simboliche dell'opera.
Di non minore interesse sono le pagine che Mario Montebello dedica alla
chiesa, soprattutto quelle relative alla interpretazione di un misterioso
graffito che ricorderebbe la morte di Giosia d'Acquaviva.
Le decorazioni della facciata
Sulla facciata costruita a mattoni lavorati e
centinati, secondo una tematica già sperimentata
Raimondo raccoglie principalmente nella zona dell'archivolto
le proposte simboliche, a cominciare dalla fioritura dei
capitelli, entro i quali nasconde un piccolo, ma stupefacente
bestiario. Nel gruppo di sinistra, tra i resti di figura ormai
mutile ed indecifrabili, si notano un'aquila con le ali spiegate
ed una salamandra; in quello di destra sono riconoscibili una
colomba, un rapace ed un volto che si affaccia con un ghigno
faunesco tra le foglie. Quantunque l'intreccio, spesso confuso
ed eccessivo, di temi vegetali ed animali sia l'elemento
preponderante della decorazione romanica rispetto alla quale
la scuola atriana non fa eccezione, tuttavia sarebbe superficiale
credere che queste figure, per quanto piccole e nascoste, non
abbiamo un significato preciso.
L'aquila con le ali spiegate
L'aquila è l'uccello della luce, l'epifania del sole,
del fuoco, dell'altezza e della profondità dell'aria.
Secondo la Tradizione essa ritroverebbe la giovinezza
esponendosi, prima, alla combustione dei raggi eliaci e
spegnendo, dopo, le ali in una fonte di acqua sorgiva.
Il mitologema ha il velo sottile: la rinnovata giovinezza
rappresenta lo stato di iniziazione alchemica che prevede
il passaggio attraverso il fuoco e l'acqua.
La Salamandra
Esiste un animale detto salamandra.
Il Fisiologo ha detto che essa, se entra
in una fornace ardente la spegno. Sta scritto
infatti: anche se cammini in mezzo al fuoco la
fiamma non ti brucerà. Ma già molto prima delle
parole del Fisiologo questo animale era ritenuto
dagli antichi la manifestazione vivente del fuoco.
Nella iconografia medioevale rappresenta il giusto
che non perde la pace dell'anima nelle tribolazioni.
In alchimia è il simbolo della pietra incandescente o,
zolfo filosofale.
La colomba
Al di là delle note significazioni
legate alla colomba, quale la rappresentazione
dello Spirito Santo o della purezza dell'anima
fedele, qui essa potrebbe indicare la condizione
volatile della materia lavorata. Come simbolo
della ispirazione divina, la colomba, in questo caso,
rappresenterebbe la condizione che la teologia
definisce come grazia attuale.
Il mostro
II mostro è il guardiano del tesoro,
del luogo sacro e della divinità rivelata.
In tutti e tré i casi il volto che si affaccia
tra le foglie ha una ragione di essere. Il tesoro
che qui starebbe a custodire è quello spirituale
della Verità che la natura umana acquisisce per
rivelazione del luogo sacro. Oltre alla funzione
di custode il mostro ha quella di prova iniziatica
che il mista deve affrontare prima di addentrarsi nel
Giardino della Conoscenza.
I leoni
Se ogni elemento, sia pure piccolo e nascosto ha la sua
cifra nel discorso simbolico, alla coppia di leoni è
affidato il lemma più pregnante. Appoggiati sulla mensola
aggettata e retta dai capitelli estemi, quello di sinistra
adunghia un libro, quello di destra afferra tra le zampe un
serpente che in atteggiamento combattivo lo morde sul capo.
Per Bindi l'uno tiene il libro delle Scritture, l'altro
affronta e vince l'eresia, ma la spiegazione per quanto
corretta e convincente lascia il campo anche ad altre ipotesi.
Leone con il libro.
Nella iconografia sacra il leone è l'animale più rappresentato.
Ora accucciato e vigile come prescrive il Fisiologo simboleggia
la Chiesa perché non sonnecchierà, ne dormirà chi custodisce
Israele, ora ringhiante diviene l'attributo principale della
Giustizia divina, ora rampante si innalza come proposizione
mistica, ora alato e con tra le zampe il libro aperto dei Vangeli
è la terza figura del tatramorfo. Rifacendosi ai quattro Viventi
ed all'effigie di San Marco Bindi vi identifica il custode delle
scritture, senza tener conto che rappresentando la metafora del
verbo rivelato il libro dovrebbe mostrarsi aperto. Ma il libro
chiuso, come del resto nelle cerimonie di laurea che ancora
conservano una certa kermesse ermetica, sta per la materia vergine
ed inesplorata o, con un salto di significato, per la Scienza
nascosta. L'opera è espressa simbolicamente da un libro ora
chiuso a seconda che la materia sia stata lavorata o sia stata
appena estratta dalla miniera. Talvolta quando il libro è
raffigurato chiuso non è raro che sia anche sigillato da
sette bande; sono il segno delle sette operazioni successive
che permettono di aprirlo, poiché ciascuna di esse spezza
un sigillo. Posto il libro come immagine della Materia,
il leone che con pacifica vigoria Io conserva tra le zampe
simboleggia la Regola trascendente
Leone in lotta con il drago.
Accantonando l'accezione negativa d'aspetto maledetto
attribuiti generalmente al serpente dal simbolismo cristiano,
per il quale esso è drago, serpens anticuus, qui vocatur
diabolus et satanaqui seduci universum orbe, il rettile
può riacquistare il valore positivo che, del resto,
non gli nega l'interpretazione scolastica. La forza
ofidica guaritrice trova gli esempi più illustri
ed antichi nel caduceo di Erme e nella verga di
Aronne, simboli dell'albero cosmico su cui si
innalza ed espande la virtù ctonia. Nel caso in
questione la scultura più che rappresentare
l'antagonismo tra il bene-leone ed il male-serpente,
è forse il geroglifico della lotta di elementi diversi,
ma non opposti, destinati a complementari vicendevolmente
in una trasmutazione. La natura solvente ed aggressiva
del mercurio, espressa nella immagine del serpente,
morde e quindi stabilisce un contatto penetrante con
la forza aurea e leonina che domina e assicura la
regola stabile di tutta l'esperienza alchemica.
Decorazioni degli archi
Dai pieditritti appoggiati ai capitelli e dietro le sculture dei leoni partono i cinque giri che decorano l'archivolto con una ricchezza di particolari che Raimondo attinge alla sua versatile e sperimentata esperienza.
Arco 1
II primo giro partendo da un fiore assai articolato,
e riconducibile come forma ad un calice a tre elementi,
allo stesso modo di quello più lineare in cui si conclude,
si articola in 22 eleganti girali, un labirinto ripetitivo
ed uguale nel quale si addentra, al suo primo svolgersi,
un'agile figuretta in veste succinta nell'atto di aggrapparsi
al bordo della decorazione. II motivo, in una soluzione
assai simile, è proposto, quasi nella stessa posizione
nel primo giro della decorazione, a Colleromano di Penne.
La simbologia va interpretata nel segno numerico che,
secondo la Cabala, è la manifestazione dell'essere nello
spazio e nel tempo. In questa ottica si configurano i 22
capitoli della Apocalisse di San Giovanni ed i 22 Arcani
maggiori dei tarocchi. Qui, i ventidue girali e l'uomo
che si addentra nella prima voluta sono la rappresentazione
dell'itinerario alchemico con .le sue due principali
difficoltà: la ricerca della strada per raggiungere
il centro e l'impegno a ritrovarne l'uscita.
Merita attenzione anche il calice trinitario,
in specie quello iniziale arricchito ai lati
da due fiori a campanula, omologo di vita divina
da cui scaturisce ed in cui si riversa ogni tempo
ed ogni spazio nel quale l'archetipale rappresentante
dell'Umanità penetra faticosamente, ma con impegno
volitivo assai ben raffigurato.
Arco 2
II secondo giro esce da una infiorescenza binata che
richiama il pennacchio terminale della canna palustre e,
ripetendo i valori del primo, in ventidue volute assai
eleganti nel centro di ognuna delle quali si pone un
fiore a cinque petali, oltre che un universo di uomini
e piccoli animali fantastici, si chiude nelle fauci di
un leone. Se nel motivo iniziale è lecito identificare
la canna allora l'intera decorazione ha il significato
della fragilità umana che è rafforzata, attraverso
inconoscibili disegni divini, nella potenza solare
della grazia. Ma il motivo di partenza potrebbe essere
anche una originale rappresentazione della tetraktys,
il più sacro dei numeri, espressione della creazione
universale su cui prestavano giuramento i pitagorici.
La tetraktys è comunemente rappresentata da una piramide
di dieci punti: quattro alla base, tre al primo ordine,
due al secondo, uno al vertice. L'infiorescenza che si
alza tra le foglie potrebbe essere nelle intenzioni
dell'artista il segno volutamente rafforzato dell'Uno
apicale. inteso come principio di tutte le cose.
In questa ottica acquista maggior comprensione anche
il motivo conclusivo: il leone che volgendo il capo
all'indietro. con un risultato plastico notevole si
pone come metafora di forza e di vittoria, valori
acquisibili dalla caducità umana a patto che questa,
perseverando nelle avversità raggiunga la meta.
Archi 4-5
Tralasciando per ora il terzo giro interno il quale va
analizzato particolarmen-te, si possono considerare il
quarto ed il quinto di comice. Il penultimo è composto
da 50 piccole stelle a punta di diamante, un elemento
decorativo tanto raffinato quanto diffuso nella tecnica
ornativa del periodo. Qualche riflessione merita il
numero che evoca i significati attribuitigli dalla
scuola pitagorica: conforto, perdono e libertà.
L'ultima decorazione, stretta intorno alla scultura
della Vergine, è formata da 28 palmette arricciolate
in punta che la rovina del tempo e delle intemperie,
tranne che in pochi casi, ha reso mutile. Qui basterà
ricordare che 28 è il ciclo completo delle quattro fasi lunari.
La decorazione del terzo archivolto
Quanti si sono provati a chiarire il significato
simbolico della porta di Santa Maria a Mare, hanno
fissato in particolare ed, in qualche caso, esclusivamente
l'attenzione alla decorazione del terzo giro, costituita
da 18 formelle quadrate. Effettivamente esso riassume e
completa il discorso ermetico altrove iniziato e condotto
per accenni. Infatti se tutta la decorazione sembra alludere
alla condizione spirituale dell'Opera sottolineando i segni
più rappresentativi del solve et coagula, sia con il valore
cabalistico dei numeri, sia con la zoologia fantastica,
il terzo arco esprime le regole del calendario alchemico,
come tempo e spazio metafisico di un giro di ruota. Sulla
scansione dello zodiaco solare l'artista svolge in 18
immagini le fasi spirituali della trasmutazione, segnando
i passaggi della Nigredo, della Albedo e lasciando accennato
quello finale della Rubedo.
Quadro 1° - L'uomo che mostra le pudende
Con una immagine altrettanto ardita si apre la rappresentazione
dello zodiaco posta sul giro interno dell'archivolto del
pronao della cattedrale di Parma. Tutta la decorazione del
duomo, come quella del battistero è opera di Benedetto
Antelami, misterioso maestro comacino che operò in quella
fabbrica almeno fino al 1216. Ad un confronto diretto la
similarietà dei due soggetti risulta impressionante e si
allarga anche ad altri motivi della decorazione antelamica
dello zooforo estemo al battistero, benché più di un secolo
divida l'opera dei due maestri. Poiché non è ipotizzarle che
Raimondo del Poggio abbia potuto spingere la sua formazione
artistica così a nord è più prudente pensare che sull'onda
lunga dei continui spostamenti di monaci e cavalieri da una
abbaziale e l'altra, si sia avuta una lenta ma costante
diffusione di motivi iconografici ed ornativi, veicolati
non solo dallo scambio dei codici miniati, ma anche dai
racconti e dalle descrizioni, spesso arricchite di magnificenza
immaginativa, dei pellegrini. Ad ogni modo a Giulianova come a
Parma l'uomo simboleggia il tempo dell'Ariete, topòs di virile
generazione e di rinnovamento germinativo, spazio della ricerca
e della disposizione canonica degli elementi. Questo inizio del
tempo aurorale,
momento di nascite rinnovatrici, in cui l'opera materiale è in
sincronia con la grande Opera divina si colloca il momento in
cui l'alchimista costruisce il vaso filosofale, sceglie, tra
le false apparenze, quella Virgo paritura, tante volte nascosta
nelle sembianze della Madonna nera e raccoglie nell'atanor le
disposizioni fi-siche, morali e mistiche. L'ariete zodiacale
corrisponde all'ascesa del sole, al passaggio dal freddo al
caldo e dall'oscurità alla luce, ed è il tempo mitico in cui
si colloca la ricerca del Vello d'oro.
Quadro 2° - Guerriero a cavallo che schiaccia il drago
In questo punto la simbologia è sufficientemente distesa; del resto
tutta la iconografia altomedioevale abbonda di Santi cavalieri
che combattono il drago, siano essi il longobardo arcangelo
Michele o il più europeo San Giorgio. Il primo significato
che si coglie è quello del rafforzamento della incidenza
temporale primaverile, già espressa nell'immagine precedente.
Il cavaliere armato è metafora dei campi di maggio e della
bella stagione, epoca di adunate, di ordalie! giudizi divini,
di giostre funzionali ed identificanti per l'affidamento di
cariche e responsabilità nella classe giovanile emergente.
Ma il cavaliere in lotta con il drago è anche l'ideogramma
dell'uomo che ha per ideale supremo il perseguimento di
grandi imprese, a condizione che sappia superare gli
ostacoli ed abbattere gli impedimenti della materia.
Il cavaliere è, solitamente, l'eroe posto alla ricerca
del sacro Graal, la coppa entro la quale si consuma ogni
avventura umana in un primo processo di putrefazione e
martino è qui segno del mista che inizia la sua avventura
gnostica.
Quadri 3° - 4° - Teste di uomo
Le due formelle, indicando le prime posizioni
dell'adeptato, vanno interpretate m sequenza.
L'uomo a capo scoperto è contradistinto da un
particolare fisognomico determinante: le orecchie
fortemente sviluppate che gli conferiscono quasi un
distintivo caricaturale. Una immagine simile, sia
pure più ieratica e solenne, apre il terzo giro
delle decorazioni di Colleromano a Penne. Poiché
l'orecchio è simbolo della comunicazio-ne passiva,
del Verbo ricevuto e della Tradizione recepita il
terzo quadro rappresenta l'uomo disposto ad essere
penetrato e riempito dalla Parola ed a essere accolto
tra i costruttori del Tempio. Inoltre la figura mostra
la prolusione della lingua, rappresentando un
gesto scaramantico di generale significazione, in una
doppia funzione esorcizzante. Da un lato verso le
difficoltà oppositrici al raggiungimento della meta,
dall'altro verso l' invidia e il risentimento espresso
da chi ha già fallito l'impresa. In tutti e due i casi
il gesto, fortemente icastico e volgare, è concesso solo
a chi si trovi ancora, se non al di fuori, per lo meno
ai primi livelli del percorso iniziatico. Il giovane
con il berretto frigio simboleggia colui che ha ricevuto
i segni di Hiram. Allo stesso modo è raffigurato il maestro
di Notre Dame. Così ne chiarisce il significato Fulcanelli
giunto al grado di epopte nei Misteri di EÌeusi si chiedeva
al novizio se si sentiva la forza, la volontà e la dedizione
richieste per porre mano alla Grande Opera. Allora gli si
poneva in capo un berretto rosso, pronunciando queste parole:
copriti con questo berretto, vale più della corona di un re.
Quadro 5° - La stella doppia a dodici punte
Segno precipuo della conferma che la infinita Misericordia
divina ha concesso alla vacillante incertezza umana è la
Stella del concepimento che appare sul compost giustamente
misurato e che guida i Magi alla grotta. A proposito di
questo doppio sigillo, Fulcanelli scrive: la nostra stella
è unica, eppure doppia. Sappiate distinguere la sua impronta
reale dalla sua immagine e noterete che essa brilla con più
intensità alla luce del giorno che nelle tenebre della notte.
Gli dei hanno accordato agli uomini per condurli verso la
grande Sapienza due stelle che, nonostante la poca verosimiglianza
formano in realtà una unica stella, quella che brilla sulla
Vergine mistica che è contemporaneamente nostra madre ed il
mare ermetico. Se ancora occorressero prove di legittimità
alla attribuzione alchemica dei simboli rappresentati su questa
porta del mondo immaginario, allora questa doppia stella
costituirebbe la principale m quanto esplicita riassunzione
dello spazio e del tempo, degli elementi materiali e della
condizione fìsica dei metalli disposti sulle punte ed intomo
all'oro centrale della metafìsica circonferenza in cui è
iscritto il doppio sigillo della chiave ermetica.
Quadro 6° - II rè che ciba le colombe
Se la primavera ha per attributo i segni orientali
(e quindi l'ariete, il toro ed i gemelli) dell'estate
sono propri quelli settentrionali e solari del trionfo
regale di Giove. Tempo di re, dunque come questo Davide
incoronato nell'atto di cibare le colombe, ma anche tempo
di stelle veneree che hanno proprio in questi uccelli le
sacre epifanie. Nella foresta di Dodona la colomba era
simbolo dell'Erossublimato e nutrito dalla dovizia regale
e dall'ora più calda del ciclo. Essa come simbolo della
Madre Tellurica e per significare la più antica ierogamia
celeste riposava sotto la grande quercia dedicata a Zeus.
Ma af di fuori di queste concettualità archetipali il sesto
bassorilievo potrebbe rappresentare la naturale disposizione
del sapiente che incoronato dalla Verità è dispensatore di
nutrimento e tramite di vita verso l'aspetto recettivo della
materia.
Quadro 7° - La rosa semplice
Mentre il Magisterio trapassa dalla Nigredo all'Opera al bianco,
la rosa semplice ammonisce sui quattro elementi e sulle dimensioni
dello spazio e volge i significati alla ruota come simbolo
solare ed espansione quaternaria della luna e delle stagioni.
In questo senso emblema del divenire ciclico, geroglifico
alchemico del tempo necessario alla cottura del materiale
filosofale, la rosa acquista tutti i valori del numero 4 e
delle porte che deve attraversare l'adepto nella via mistica.
La prima porta che immette solo alla lettera della religione è
nell'aria; la seconda apre il passaggio all'ascetismo ed è di
fuoco, la terza, d'acqua, permette la gnosi e la quarta infine
che comunica con Dio è di terra.
Quadro 8° - L'uomo che cavalca il drago
La formella, come quella del grifo, manca della parte inferiore
che doveva contenere qualche elemento utile alla rappresentazione
simbolica, considerando che la figura aggrappata al collo del
dragone mostra di guardare in basso dove forse potrebbe esserci
stato un mare periglioso sul quale l'eroe, sollevato sulle ah del
mostro, si innalza. In questo caso il drago potrebbe avere gli
stessi significati della balena da cui Giona rinasce. Secondo
l'analisi junghiana il mito in cui l'eroe è inghiottito da un
mostro marino che lo trascina di notte sopra le acque del mare,
rappresenta il tipo archetipale del trionfo dell'Io sulle
tendenze regressive, oltre che essere metafora dell'oscuro
cammino del sole dal crepuscolo all'alba. Nell'ermetismo
mediovaie l'immagine esprime il mercurio alchemico, elemento
umido e passivo della soluzione, qui subalterno forse non allo
zolfo come è descritto comunemente, ma al principio virile
della Regola che lo regge sul mare filosofale.
Quadro 9° - II giovane eroe
Come il drago era l'emblema della fecondità ctonia ben
governata, così l'ipostasi dell'alchimista vittorioso è
magnificamente riassunta nella serenità eroica del giovane
a capo scoperto. Egli rappresenta lo slancio evolutivo, il
desiderio e la situazione conflittuale della psiche umana.
Adorno di attributi solari con i quali ha trionfato sulle
tenebre e sul freddo l'eroe riafferma il significato del
secondo Magisterio che è quello della sublimazione della
umana natura. Da un punto di vista somatico la formella
richiama l'espressione dell'homo rappresentato in quarta
posizione con il berretto frigio e quello che si incontrerà
in undicesima con il capo coperto dal petaso, il che potrebbe
contenere anche un ulteriore valore di ipostasi ternaria della
virtù ermetica applicata e meritare più sottili inter-pretazioni
anche in considerazione del fatto a Colleromano di Penne
la concettualità trova espressioni simili.
Quadro 10° Giovane che ride accosciato sopra un mascherone
Mentre per Palma questa è cosa oscenissima, Bindi è sicuro di vedervi
la rappresentazione di una partoriente a monito della maledizione
biblica, equivoco anche comprensibile quando si considera il
tipico gesto di sostenersi le cosce con le mani durante il
travaglio, se non fosse che la figura non ha assolutamente
caratteri femminili, ma anzi è fuori di alcun dubbio un
giovanotto nell'atto di ridere e la cui zona puberale
risulta mutila per trascorsi accidenti attribuibili alle
intemperie ed al tempo. I due fori ancora visibili sul
basso ventre dimostrano con chiarezza che l'apparato genitale,
eccedente la compattezza della massa scultorea, e quindi
ovviamente maschile, dovette essere fissato a piombo, tecnica
del resto comune tra i lapicidi medievali. Ugualmente interessante,
sempre che il quadro rappresentasse una donna, sarebbe l'ipotesi
interpretativa dal Pansa per il quale qui si raffigura l'impudica
Baubo che, scoprendosi il corpo deformato dalla gravidanza muove
al riso iniziatico e rinnovatore l'afflitta Persefo-ne, riuscendo
in tal modo a spezzare l'immobilità germinativa ed a farle
accettare la rituale bevanda di acqua, orzo e menta. A Santa
Maria a mare l'immagine avrebbe una funzione apotropaica di
scongiuro, come del resto il bassorilievo della Fotta, collocato
sulla fiancata meridionale del duomo di Modena e riproduce lo
stesso personaggio a gambe aperte.Ma accertato che l'immagine
non rappresenta una donna, anzi all'osservazione ravvicinata
risultano altri particolari qualificanti come il volto
adolescenziale, il sorriso evocatore, il corpo agile e scattante
proprio dell'età puberale, e restando nella traccia dei Misteri
eleusini, essa potrebbe essere l'epifania di Iakchos il misterioso
fanciullo divino che ride nel ventre di Baubo, ma che allo stesso
tempo è il figlio intercambiabile di Demetra e Persefone,
concepito oscuramente nel solco arato tre volte, secondo il
racconto delle storie ortiche. La funzione che lo pone al centro
dell'archivolto è insita nei suoi stessi attributi. Jacco è il
dio che guida danzando la processione degli iniziati e regola
il grido rituale dei fedeli testimoniando la possibilità di
trasmutazione attuata nella storia di Zagreo, suo doppio speculare.
Dunque qui appare come la riassunzione dello sforzo violento
compiuto dalla umanità di superare il confine materiale e
raggiungere, attraverso l'ebbrezza, l'orgia e Festasi, l'intima
unione mistica che è l'estremo traguardo dell'opera ermetica.Il
mascherone sottostante, oltre a rafforzare con una riproposta
funzione il simbolismo del riso iniziatico, riprendendo i valori
del cerchio e del volto maschile sempre presente nella iconografìa
eliaca mediovaie, esplicita anche una metaforasolare inserita nel
punto centrale dell'arco.
Quadro 11° - II Dio come Ermes
Dalle rappresentazioni classiche di Ermes, il giovane qui
raffigurato riprende inequivocabilmente il copricapo,
curiosamente curato nei particolari e dal quale si intravede
la copiosa capigliatura intrecciata. Il cappello, qualche
volta alato, ma più spesso semplicemente a larghe tese,
che il dio condivide con Per-seo, personaggio eroico che
risulta essere il suo doppio applicato, ha la funzione di
garantirgli il passaggio tra i due mondi, quello infero e
quello celeste in cui esercita la funzione di psicompo.
Egli è il simbolo della mediazione e dello scambio tra il
ciclo e la terra nel mito del ritorno obbligato di Persefone
che riaccompagna alla madre, prelevandola dal regno di Dite.
Quindi dio della trasmutazione e del cambiamento formale.
La formella introduce il simbolo del processo mercuriale e
conclude, con la raffigurazione dei mesi estivi, l'Opera al bianco.
Quadro 12° - II cavallo
L'artista sceglie per questo simbolo l'immagine
archetipale e ritrae il cavallo libero e senza briglie,
ctonio come figlio della Terra ed ardente in quanto
generato dal connubio della madre tellurica con il
sangue della Gorgone. La mancanza del morso e dei
finimenti sottolinea la sua natura aerea, compartecipe
degli attributi del vento e delle tempeste come i
destrieri dei Dioscuri e di Bellerofonte, la sua forza
acquatica come Pegaso dal cui zoccolo scaturisce la
sorgente delle muse. Nell'estasi misterica il cavallo
è sempre presente, sia in forma mitica di centauro, sia
come compagno delle menadi, sia infine come condizione
dell'adepto considerato cavalcato dal dio e quindi
posseduto con erotismo rinnovatore. Qui, con una metafora
trascendentale, rappresenta il tempo d'autunno e dei
segni occidentali, tempo di arature e semine e di erogamie
cereali. Per chiarire la valenza temporale del simbolo
basti ricordare che alle Idi di ottobre a Roma, con un
rito che affonda le radici in una latinitas aurorale,
per impetrare un ottimo raccolto veniva sacrificato un
cavallo, con il capo ornato di spighe, quale perfetta
ostia riassuntiva del processo terra - madre - acqua -
luna - sessualità -vegetazione - fertilità e rinnovamento
periodico.
Quadro 13° - Gli amanti
La scena è la rappresentazione non di un adulterio, ma della
triade minerale impersonata dal giovane amante, dalla regina
e dal re vecchio, triade più apparente che sostanziale in
quanto l'amante non è che l'immagine speculare del rè, in una
ritrovata giovinezza.Il quadro, come la leggenda mediovaie
di Tristano ed Isotta che si abbracciano nella foresta di
Marois sotto lo sguardo di rè Marco, rappresenta le nozze
chimiche. Alla fusione delle due parti nell'uno adamitico,
di cui il rebis è la forma imperfetta, sono prescritti il
silenzio e l'oscurità; di qui la cortina tesa oltre le
figure abbracciate. In questa prospettiva l'oggetto brandito
in alto dalla terza figura potrebbe essere non un coltello
sollevato per colpire gli amanti, ma uno scettro segno di
potenza che garantisce e protegge le nozze dalle quali,
del resto, sorgerà il re bambino o oro giovane della Tradizione.
Quadro 14° - II grifo alato
Dall'unione dei valori solari
dell'aquila e del leone nasce il grifone, animale fantastico
che rappresenta il simbolo conflittuale delle due nature:
quella umana e divina. Qui sta a simboleggiare il guardiano
del tesoro, come il mostro che vigila, oltre, le; terre
iperboree sulla coppa inebriante di Dionisio. E' l'ultimo
ostacolo, la forza maggiore che si oppone alla ricerca
filosofale dell'oro alchemico.
Quadrol5° - La rosa dei venti
Se non il più importante, la rosa è certo il simbolo
più conosciuto della scienza alchemica, non fosse altro per
il numero dei trattati ermetici che la assumono a titolo ed
emblema. Essa rappresenta il centro mistico, la coppa
di vita ed il compimento della perfezione assoluta. Ma
più che dal concetto cristiano il pensiero ermetico e di
seguito quello rosacrociano sembrano riallacciare la
funzionalità iniziatica e di rinascita mistica ai mitologemi
già espressi nella morte di Adone, nei quali il fiore passa
dal colore bianco al rosso per effetto del sangue di
Afrodite o nella corona candida di Écate, come nella favola
dell'Asino d'oro, quando Lucio riacquista le umane sembianze
dopo aver mangiato il serto di rose vermiglie nel tempio
di Iside. Nella decorazione dell'arco, simboleggiante un
perfetto giro di ruota, non poteva mancare, dunque la rosa
che la Tradizione vorrebbe di sette petali, ciascuno dei
quali evocante un metallo o una fase dell'Opera, e qui
suddivisa in due sezioni che assommano il numero di nove
foglie. Infatti, più che la rosa mistica dei filosofi la
formella, secondo una acclarata iconografìa medioevale,
rappresenta la rosa dei venti, dove le quattro punte del
settore esterno stanno ad indicare le direzioni spaziali
in rapporto con le stagioni e gli elementi e la corolla
interna il centro del mondo, come magico e terribile
crocicchio di eventi straordinari.
Quadro 16° • La corona
Mentre l'opera al rosso, sotto i veli di un mistero
impenetrabile si avvia alla conclusione la formella sedicesima
esprime la speranza con il simbolo della corona. In essa si
individuano tré elementi principali di interpretazione :
posizione, forma e materia. Per posizione la corona è
assimilabile ai valori del capo e dell'intelletto, per
forma partecipa alla perfezione del circolo e per materia,
sia essa vegetale o minerale, rivela la consacrazione e
la ricompensa divina. Si pensi al fatto che nella immolazione
rituale vittima e sacerdote sono cinti di una corona sacrificale
e che ad essa è affidata la funzione di dichiarare attributi ed
ipostasi della divinità. Come la ghirlanda che nel culto
mitraico e nei misteri di Iside connota l'iniziato, questa
come del resto accade nella liturgia cristiana di molti
sacramenti conferma la posizione dell'eroe ermetico che si
avvicina a perfezionare la sua ricerca della Verità.
Quadro 17° -1 pellegrini
Generalmente simbolo della condizione umana sulla terra,
in questo caso la rappresentazione dei pellegrini si
apparenta ai riti di iniziazione, sia per la presenza
del maestro che porge al compagno assetato della sapienza,
sia per il borbone che ambedue impugnano come prova di
sopportazione e privazione, condizioni indispensabili per
condurre a termine il viaggio e pervenire alla rivelazione
divina.L'acqua con cui l'adepto si disseta si chiarisce in
tré significati fondamentali : sorgente di vita, mezzo di
purificazione, elemento di rigenerazione ma è soprattutto
acqua filosofale. Un'immagine simile, due personaggi aventi
pileo in capo, bastone in mano e clamide agganciata alle spalle
è posta dall'Antelami in terzultima posizione nello zooforo
decorativo della muraglia estema del battistero di Parma.
Quadro 18° - L'acquario
Come la sequenza si era aperta con il segno zodiacale
dell'Ariete ed i simboli orientali del ciclo, così
l'anello del tempo si richiude sulla avventura gnostica
nella connotazione dell'Acquario, emblema di solidarietà
e di percezioni spirituali. La figura corrisponde precisamente
alla iconografìa medioevale che rappresenta l'Acquario nelle
sembianze di un nobile vecchio che regge sulle spalle una
giara. Oltre a concludere il ciclo solare l'Acquario è la
metafora delle affinità elettive e della vita liberata in
una sfera universale, perfetto rappresentante quindi dello
stato spirituale dell'adepta che ha concluso il suo viaggio
alla ricerca della Verità. La sequenza si conclude anche a
livello euristico : la trasmissione del Magisterio è
fondata sullo scambio Interpersonale della Tradizione.
Maria Concetta Nicolai
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